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In quei giorni immaginavamo noi stessi come prigionieri dentro un recinto, in attesa di essere liberati nel pascolo delle nostre esistenze. Quando fosse giunto il momento, la vita, e il tempo stesso, avrebbero subito un’accelerazione. Come avremmo potuto sapere che in effetti le nostre vite erano già cominciate, che alcuni viaggi ce li eravamo accaparrati e che qualche danno era già inflitto? E che, per di più, ci avrebbero solo liberati dentro un recinto più grande i cui limiti avremmo in principio faticato a riconoscere?


La storia di una fine | Julian Barnes

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Dal formicaio le rispettabili formiche hanno cominciato, e col formicaio sicuramente finiranno, cosa che fa molto onore alla loro costanza e al loro carattere positivo. Ma l’uomo è un essere leggero e d’ingrato aspetto e, forse, come il giocatore di scacchi, non ama che il processo attraverso il quale raggiunge il fine, e non il fine stesso. E chi sa (garantirlo non si può), forse anche tutto il fine a cui tende l’umanità sulla terra è racchiuso unicamente in questo solo ininterrotto processo di raggiungimento, o, per dirla altrimenti, nella vita stessa, e non propriamente nel fine, che, s’intende, non deve essere se non il due per due quattro, cioè una formula; ma, del resto, il due per due quattro non è più vita, signori, bensì il principio della morte. Per lo meno, l’uomo ha sempre avuto un certo timore di questo due per due quattro, e io lo temo anche ora. Mettiamo pure che l’uomo non fa che cercare questo due per due quattro, valica gli oceani, sacrifica la vita in questa ricerca, ma di scoprirlo, di trovarlo effettivamente, vi giuro che ne ha come paura. Infatti egli sente che, non appena l’avrà trovato, non ci sarà più nulla da cercare. I lavoratori, finito il lavoro, per lo meno ricevono il denaro, vanno alla bettola, poi finiscono al commissariato: be’, sono occupazioni che bastano per una settimana. Ma l’uomo dove va? Quanto meno, ogni volta si nota in lui un che d’impacciato nel momento in cui raggiunge cosiffatti fini. Il fatto di raggiungerli gli piace, ma averli raggiunti non proprio, e questo, certo, è straordinariamente ridicolo. Insomma, l’uomo è congegnato in un modo buffo; in tutto ciò, evidentemente, c’è un gioco di parole. Ma il due per due quattro è pur sempre una cosa arcinsopportabile. Il due per due quattro, secondo la mia opinione, non è che sfacciataggine. Il due per due quattro si dà delle arie, vi attraversa la strada con le mani sui fianchi e sputa. Sono d’accordo anch’io che il due per due quattro è una cosa eccellente; ma se proprio si ha da lodar tutto, anche il due per due cinque a volte è una cosuccia graziosissima.


Memorie del sottosuolo
Fedor Dostoevskij

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7d5d7a4bb7cacc840ca144f691bfdf17Spiate da dietro le persone portano il peso del loro destino, come se nella parte che non possono vedere di se stesse si addensassero tutte le sofferenze, i pensieri, le speranze individuali e quelle di tutte le generazioni precedenti che paiono accanirsi contro l’ultimo testimone, lo spingono in avanti ma intanto sembrano ridere di lui, della sconfitta che egli ripeterà. 

Splendore – Margaret Mazzatini

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Sai invece quando ho veramente provato una stretta al cuore? Quando hai descritto te stessa per eliminare qualsiasi dubbio e, chissà perché, ti sei riassunta in una sola frase, oltretutto tra parentesi (“piuttosto alta, capelli lunghi, ricci e ribelli, occhiali…”). Se è davvero così, se ti senti tra parentesi, permettimi allora di infilarmici dentro, e che tutto il mondo ne rimanga fuori, che sia solo l’esponente al di fuori della parentesi e ci moltiplichi al suo interno.

Che tu sia per me il coltello – David Grossman

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Davanti alla legge c’è un guardiano. Davanti a lui viene un uomo di campagna e chiede di entrare nella legge. Ma il guardiano gli dice che ora non gli può concedere di entrare. L’uomo riflette e chiede se almeno potrà entrare più tardi. “Può darsi” risponde il guardiano, “ma per ora no.”. Siccome la porta che conduce alla legge è aperta come sempre e il custode si fa da parte, l’uomo si china per dare un’occhiata, dalla porta, nell’interno. Quando se ne accorge, il guardiano si mette a ridere: “Se ne hai tanta voglia prova pure a entrare nonostante la mia proibizione. Bada, però: io sono potente, e sono soltanto l’infimo dei guardiani. Davanti ad ogni sala sta un guardiano, uno più potente dell’altro. Già la vista del terzo non riesco a sopportarla nemmeno io”. L’uomo di campagna non si aspettava tali difficoltà; la legge, pensa, dovrebbe pur essere accessibile a tutti e sempre, ma a guardar bene il guardiano avvolto nel cappotto di pelliccia, il suo lungo naso a punta, la lunga barba tartara, nera e rada, decide di attendere piuttosto finché non abbia ottenuto il permesso di entrare. Il guardiano gli dà uno sgabello e lo fa sedere di fianco alla porta. Là rimane seduto per giorni e anni. Fa numerosi tentativi per passare e stanca il guardiano con le sue richieste. Il guardiano istituisce più volte brevi interrogatori, gli chiede notizie della sua patria e di molte altre cose, ma sono domande prive di interesse come le fanno i gran signori, e alla fine gli ripete sempre che ancora non lo può far entrare. L’uomo che per il viaggio si è provveduto di molte cose dà fondo a tutto per quanto prezioso sia, tentando di corrompere il guardiano. Questi accetta ogni cosa, ma osserva: “Lo accetto soltanto perché tu non creda dì aver trascurato qualcosa”. Durante tutti quegli anni l’uomo osserva il guardiano quasi senza interruzione. Dimentica gli altri guardiani e solo il primo gli sembra l’unico ostacolo all’ingresso della legge. Egli maledice il caso disgraziato, nei primi anni ad alta voce, poi quando invecchia si limita a brontolare tra sé. Rimbambisce e siccome studiando per anni il guardiano conosce ormai anche le pulci del suo bavero di pelliccia, implora anche queste di aiutarlo e di far cambiare opinione al guardiano. Infine il lume degli occhi gli si indebolisce ed egli non sa se veramente fa più buio intorno a lui o se soltanto gli occhi lo ingannano. Ma ancora distingue nell’oscurità uno splendore che erompe inestinguibile dalla porta della legge. Ormai non vive più a lungo. Prima di morire tutte le esperienze di quel tempo si condensano nella sua testa in una domanda che finora non ha rivolto al guardiano. Gli fa un cenno poiché non può ergere il corpo che si sta irrigidendo. E il guardiano è costretto a piegarsi profondamente verso di lui, poiché la differenza di statura è mutata molto a sfavore dell’uomo di campagna. “Che cosa vuoi sapere ancora?” chiede il guardiano, “sei insaziabile.”. L’uomo risponde: “Tutti tendono verso la legge, come mai in tutti questi anni nessun altro ha chiesto di entrare?”. Il guardiano si rende conto che l’uomo è giunto alla fine e per farsi intendere ancora da quelle orecchie che stanno per diventare insensibili, grida: “Nessun altro poteva entrare qui perché questo ingresso era destinato soltanto a te. Ora vado a chiuderlo”.


Il Processo – Franz Kafka

 

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I ragazzi che si amano

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I ragazzi che si amano si baciano in piedi
Contro le porte della notte
E i passanti che passano li segnano a dito
Ma i ragazzi che si amano
Non ci sono per nessuno
Ed è la loro ombra soltanto
Che trema nella notte
Stimolando la rabbia dei passanti
La loro rabbia il loro disprezzo le risa la loro invidia
I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno
Essi sono altrove molto più lontano della notte
Molto più in alto del giorno
Nell’abbagliante splendore del loro primo amore


Jacques Prévert

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A volte si sente parlare della crudeltà “da belva” degli uomini, ma questa espressione è sommamente ingiusta e offensiva per le belve: una belva non può essere mai crudele come un uomo, così raffinatamente, così artisticamente crudele. La tigre addenta, sbrana, e non sa fare altro. Non le verrebbe mai in testa di inchiodare gli uomini per gli orecchi e di tenerceli tutta la notte, anche se lo potesse fare.

I fratelli Karamazov – Fëdor M. Dostoevskij